Anche sulle fideiussioni si è posta l’attenzione dei giudici ermellini ed in particolare sulla validità delle clausole che ne conferiscono quel carattere di atipicità propria della c.d. fideiussione omnibus.
Si definiscono omnibus quelle fideiussioni atipiche caratterizzate dalla presenza di due clausole: la prima clausola che impone il pagamento da parte del garante senza poter sollevare obiezioni e/o eccezioni pertinenti il rapporto garantito, che è responsabile dell’alterazione del tipo legale, e la seconda clausola cd. ”estensiva” in forza della quale la copertura fideiussoria (garanzia) si estenderà a tutti i debiti che un determinato soggetto (il debitore principale) si troverà ad avere nei confronti di un istituto di credito sempre che sia predeterminato l’importo massimo garantito.

Ora, l’attenzione della giurisprudenza si è riproposta sulla validità delle fideiussioni omnibus qualora esse siano il frutto di intese restrittive della libera concorrenza secondo i principi dettati dalla legge n. 287/1990 (legge ”Antitrust”).
Si deve osservare, infatti, che con Provvedimento n. 55 del 2 maggio 2005 che si segnala (4) la Banca d’Italia, in qualità di Autorità Garante della concorrenza tra istituti creditizi (funzione che ha esercitato fino al 12 gennaio 2006), rinveniva nell’applicazione uniforme da parte degli enti creditizi tre disposizioni di quel modello (segnatamente, clausole di ”sopravvivenza”, ”reviviscenza” e ”rinuncia ai termini” di cui all’art. 1957 c.c.) un’intesa restrittiva della concorrenza vietata dall’art. 2, co. 2, lett. a, legge (”antitrust”) n. 287 del 1990.
In particolare, oggetto dell’istruttoria, sono stati gli artt. 2, 6 e 8 dello schema contrattuale predisposto dall’ABI in materia di ”Condizioni generali di contratto per la Fideiussione a garanzia delle operazioni bancarie” e che prevedono:

  • che il fideiussore sia tenuto “a rimborsare alla banca le somme che dalla banca stessa fossero state incassate in pagamento di obbligazioni garantite e che dovessero essere restituite a seguito di annullamento, inefficacia o revoca dei pagamenti stessi, o per qualsiasi altro motivo” (art. 2 dello schema ABI c.d. ”clausola di reviviscenza”);
  • che “i diritti derivanti alla banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore, senza che essa sia tenuta ad escutere il debitore o il fideiussore medesimi o qualsiasi altro coobbligato o garante entro i tempi previsti, a seconda dei casi, dall’art. 1957 cod. civ. che si intende derogato” (art. 6 dello schema c.d. ”clausola di rinuncia ai termini”);
  • che “qualora le obbligazioni garantite siano dichiarate invalide, la fideiussione garantisce comunque l’obbligo di restituire le somme allo stesso erogate” (art. 8 dello schema c.d. ”clausola di sopravvivenza”)

Perciò sul presupposto che tali clausole siano il frutto di intese restrittive della concorrenza, si è pronunciata la sentenza della Suprema Corte n. 29810 del 12/12/2017 che si segnala (5) per avere affermato il principio per cui qualsiasi comportamento posto in essere da almeno due imprese a prescindere dalla natura contrattuale, può realizzare un’intesa illecita (già Cass. sez. I, 1 febbraio 1999, n. 827, est. Berruti): nel caso di specie, l’applicazione del modello contrattuale (in parte) restrittivo della concorrenza, nel contesto di una condotta di mercato tenuta dall’ente creditizio, peraltro, secondo prassi diffuse e organizzate sistematicamente (cioè ”concertate”).
Secondo il Supremo collegio, la violazione dell’art. 2 della legge c.d. ”Antitrust”, consumatasi a monte della predisposizione e nell’adozione uniforme di uno schema contrattuale restrittivo della concorrenza, determina a cascata la nullità dei contratti stipulati a valle in conformità allo schema; giacché questi costituiscono lo sbocco sul mercato dell’intesa illecita: ciò perché secondo la Corte di Cassazione, ”allorché l’articolo in questione (cioè art. 2 della legge n. 287/1990) stabilisce la nullità delle “intese”, non abbia inteso dare rilevanza esclusivamente all’eventuale negozio giuridico originario postosi all’origine della successiva sequenza comportamentale, ma a tutta la più complessiva situazione – anche successiva al negozio originario la quale – in quanto tale realizzi un ostacolo al gioco della concorrenza”.

Sulla scia di tale arresto si sono generati due contrapposti orientamenti nella giurisprudenza di merito che fanno leva su diversi paradigmi interpretativi per giungere a conclusioni diametralmente opposte in punto alla validità e quindi alla nullità totale del singolo negozio fideiussorio oppure parziale cioè limitata alle singole clausole censurate dalla Banca d’Italia poiché ritenute in contrasto a norme imperative di legge.